Materiali intelligibili
“Le predette sostanze, che abbiamo chiamate immateriali, devono essere anche intellettuali. Infatti una cosa è intellettuale in quanto è immune dalla materia, come si può percepire dall’intelligibile stesso.” (Tommaso D’Aquino)
Ne L’ascesa all’empireo (1504) Hyeronimus Bosch descrive un gruppo di anime che si eleva verso il paradiso: perdendo sensibilmente le costrizioni del peso corporeo, giungono ad un cilindro luminoso alla cui sommità si scorgono le ombre dei beati intenti a compiere l’ultimo sforzo prima di ascendere alla contemplazione divina. La tela è ancora oggi sorprendente. Con un’inconsueta economia di mezzi il pittore ha rappresentato in un modo estremamente realistico un’esperienza mistica, ponendo una grande attenzione tanto nel sottolineare lo sgravarsi dai corpi quanto nel dare una dimensione astratta alla luce divina. Fisicità e luce, due caratteristiche che denotano il concetto di trasparenza legato ad un’esperienza di ordine mistico, almeno sino all’avvento della tecnologia e dell’introduzione delle materie plastiche all’interno della ricerca visiva delle avanguardie. Innovazione e concezione materialistica degli strumenti, cui occorre aggiungere però quel grado di intellegibilità che ricordava l’Aquinate; quel grado cosciente di concettualità tanto caro al secolo appena concluso.



Per Kapoor la qualità di superficie è una fonte infinitamente investigabile: "La pelle, la superficie esterna, è sempre stata per me il posto dell'azione. È il momento di contatto tra l'oggetto e il mondo. La pellicola che separa l'interno dall'esterno." L’epidermide è per l'artista anglo-indiano, il momento della tensione e dell'azione dell'opera; è il luogo nel quale avvertiamo il cambiamento. Le opere sono configurazione di oggetti o meglio luoghi, invadono lo spazio e lo assorbono fino a renderlo parte dell'opera stessa. Tra le coppie di opposti quella interiore/esteriore, gioca un ruolo molto importante, soprattutto alla luce del crescente interessamento da parte dell'artista verso il tema della rivelazione e dissimulazione. Lavora con le superfici riflettenti, per le creazioni di specchi deformanti o che addirittura annullano l'immagine stessa, come in Double Mirror, 1997; o che la inghiottono verso un limite vertiginoso come in Turning the World Upside Down, 1995 o Suck, 1998. "Il mio lavoro è una lotta, un inarrestabile combattimento", dichiara. Le sue opere hanno a che fare con la materia, la trasformano, la deformano, nel senso letterale di privare di una forma che sia fisica. Tutta la grande produzione dell'artista di questa fase consiste nella messa in scena del vuoto, un vuoto reso tangibile da una cavità che si riempie o da una materia che si svuota. L'opera di Kapoor consiste nella rivelazione di un'apparizione interna, innata alla materia, in un farsi originario dell'opera, verso la messa in scena di una realtà profonda, avvertibile in una transizione, in un passaggio, in una visione diagonale. Essa è un grande specchio deformante pronto a mettere in scena il tempo dell'esperienza, riflettendo la natura in una superficie unica.
Una speculazione sensitiva differente, il rimando alle cose per la conoscenza intima del mondo, l’analogia come ductus descrittivo invece per Dacia Manto che varca la sapienza tattile della natura, ne trae l’essenza, il contenuto, attraverso l’esercizio e la manualità dell’esecuzione, il lento costruire e manifestarsi, quasi musicale, delle cose. Un impercettibile ritmo, una partitura organica diventa codice di stile, elemento caratterizzante di definizione per una pratica operativa pauperistica nei materiali ma spesso barocca e virtuosistica nei suoi assunti. La luce in tale economia risulta referente privilegiato, annotazione di un flusso primario, vibrante, costitutivo in quanto simbolo di una energia recondita pulsante.
Una prospettiva rizomatica quella di Manto, in moto perpetuo fra organicismo e fisiologia, condotta secondo modalità lievi. Come afferma Novalis, filosofo prossimo alle istanze fin qui osservate, “il poeta conclude nel modo in cui egli comincia l’impulso. Se il filosofo si limita a ordinare, disporre, il poeta sciolga ogni legame. Le sue parole non sono segni generali – sono suoni – parole magiche, che muovono attorno a sé belle schiere.”